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Studentessa in Romania da giovane e in Italia da adulta: non solo realtà, ma una ricchezza

Quando si pensa all’ Istruzione, spesso ci si immerge in un profondo senso di cambiamento collettivo, che sostiene il pilastro fondamentale per lo sviluppo di un’intera società. Per chi come me sceglie di riprendere gli studi in età adulta, questo passaggio è ben compreso e consapevole, interiorizzato nei minimi dettagli, perché la scuola in cui mi sono trovata a studiare oggi ha come obiettivo la crescita, non solo da un punto di vista intellettuale e culturale, ma anche personale.

Confrontare i due sistemi educativi che mi hanno visto studentessa è un’impresa ardua, un po’ azzardata, di facile presunzione, tuttavia cercherò di non fare troppo rumore e di non urtare la suscettibilità nazionalista di nessuno, visto il tema difficile, spinoso da affrontare: il mio è solo un sentire, quindi un’opinione soggettiva, e lo voglio esprimere con il rispetto che si prova quando si bussa prima di entrare in una stanza.

Sono diplomata in lingue in Romania, ed ovviamente ho frequentatole elementari e le medie, e non c’è mai stata una grossa differenza, tranne per il fatto che il cambiamento culturale nel mio paese d’origine avveniva con una dura lotta, contro quel silenzio di subordinazione in cui spesso ci siamo trovati tappati dalla storia senza nemmeno accorgercene. È quel tipo di voce sorda che frulla nella testa e dice “ma cosa sto pensando di sbagliato? E perché non lo dico e basta?”. Insomma, esprimersi era un divieto tacito anche nei tuoi stessi pensieri, nel tuo cuore, poi nello stesso abbraccio della vita, diventando così una coscienza collettiva di tutti noi, nessuno escluso. La capacità di sognare era un’utopia. E credo lo fosse anche per i nostri insegnanti, investiti dal mio stesso pensiero: obbedire senza recriminare ai dettami imposti. Noi dovevamo studiare, loro dovevano fare lezione: cosa, come e quando erano regole decise da altri. Il perché non si poteva sapere, né tantomeno chiedere… un po’ come essere buttati dalla finestra senza paracadute, e senza nemmeno essere attutiti dopo la caduta. Studiare senza avere coscienza di quanto si stava studiando significava andare nella vita senza la preparazione giusta: la mancanza di consapevolezza ci rendeva ciechi pur avendo occhi per vedere. Si sapeva tutto, ma di fatto non si sapeva niente che fosse funzionale alla vita vera, e questo generava una silenziosa confusione che non dava prospettive.

Come si può pensare di sviluppare la capacità di scelta se non si ha scelta? Come scegliere una strada piuttosto che un’altra? Ma soprattutto, come si sceglie quella giusta per ognuno? 

Ho trovato la risposta a questa domanda quando mi sono iscritta al corso serale di Informatica dell’ITT Allievi-Sangallo di Terni. Il motivo della scelta questa volta non era basato su imposizioni o regole prestabilite da altri. Ero io che, per la prima volta, sceglievo quale direzione dovesse prendere il mio futuro. Vista la crescita esponenziale dell’utilizzo dei sistemi informatici, avevo deciso di aprirmi verso un orizzonte inesplorato e di tracciare un cammino in una nuova prospettiva. Così mi sono trovata al terzo anno di corso, con un’iscrizione un po’ in ritardo, ma sempre in tempo per recuperare. È stata dura all’inizio, non solo per il disagio linguistico, ma anche per il linguaggio tecnico usato, che appariva per me di livello universitario, viste le competenze che avevo, e non ci capivo assolutamente nulla. La resa era vicina e le armi subito a terra senza aver combattuto minimamente: troppo difficile, e mi vedevo di nuovo a ripercorrere la stessa strada del disagio e dell’essere inadatta per quel tipo di percorso. Il silenzio fece di nuovo capolino e l’incapacità di non saper scegliere appesantiva troppo l’umore, anche per l’età con la quale stavo iniziando un percorso di studi tecnici. Quel vecchio imprinting non mi abbandonava, finché un giorno, dando del mio meglio e senza imprese titaniche, la mia determinazione è stata premiata e i miei progressi davano piano piano i loro frutti, in quasi tutte le materie. Le domande che un tempo mi ponevo in silenzio, ora sono diventate domande condivise, quanto meno espresse, e il dialogo è una voce unica il cui suono èl’unisono di idee, risate e accoglienza. La sinergia che si crea con compagni e professori è collettività, collettività in senso costruttivo, che porta indiscutibilmente all’evoluzione di ciascuno di noi, invitandoci tutti a porci domande, e credo sia la tecnica più attendibile e complementare alla realtà concreta. Laddove le domande erano un punto di debolezza solitaria, ora sono un punto di forza unanime. Poi è tutto in divenire, e comprendere questo mi dà il senso e lo scopo per il quale ho intrapreso il mio nuovo percorso. La scelta ora è una capacità intrinseca, ed agisce come una parte di me che non ho mai conosciuto, la strada giusta per me è direttamente proporzionale al metodo di insegnamento che mi sono ritrovata a ricevere in questa scuola. Un po’ per caso e un po’ anche inconsapevolmente, qualcosa mi ha attirata qui e quel metodo, a prescindere dalla materia, è l’empatia, la semplicità con la quale non solo una strada si è aperta davanti a me, ma una moltitudine di opportunità.

Trovo che il verbo “insegnare non sia solo quello di trasmettere il sapere fine a sé stesso, ma quello di lasciare un metodo di approccio alla realtà che accompagna silenziosamente lo studente e che va ben oltre lo studio. Insieme a questo preziosissimo verbo aggiungerei di conseguenza anche il verbo “Educare”, ossia LA qualità di poter tirare fuori quelle capacità che si hanno già. Scoprirle ed avere gli strumenti per poterle esplorare, esprimere a voce alta, è quasi una poesia in divenire, un’opera che si fa da sé, portandone valore essenziale senza il vociare del giudizio. Questo tipo di realtà tangibile l’ho trovata in questa scuola e ho capito che tu e soltanto tu, PUOI vedere con i tuoi occhi che i sogni si possono realizzare, esercitandone il diritto ed avendo il coraggio di compiere quei passi. Non solo una realtà, ma una ricchezza.

“Ed ecco il mio segreto: è molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (“Il piccolo principe”-Antoine Saint-Exupéry)

Di: Carmen Heisu 5SMSI – A.S. 2023/2024

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